Questo libro e i suoi contenuti influenzarono molto Pietro d’Abano, Marsilio Ficino, Enrico Cornelio Agrippa, Nostradamus ( per la generazione delle sue famose "quartine" ) e forse molti altri esoterici del passato.
Alcune parti di questo libro sono conservate presso la Biblioteca dell'Arsenale a Parigi.
Tra i Libri “proibiti” che ebbero maggior diffusione nel Tardo Medioevo e nel Rinascimento c’è un testo di magia simpatica chiamato Picatrix (2) il cui titolo originale è Gāyat-al-hakīm (il Fine del Saggio). Nel testo sono descritti e prescritti astrusi Talismani da utilizzare per la cura del mal di denti, per evadere dal carcere, per avere fortuna negli affari, per prevalere sui rivali, per attirare l'amore, per prolungare la vita e così via. Nel IV Libro (Capitolo III) l'Autore si spinge oltre e spiega come realizzare un Talismano per diventare invisibili, attribuendone la paternità a Ermete Trismegisto. Per rendere ancora più credibili le sue affermazioni aggiunge che fu proprio Ermete a inventare la Magia delle Immagini con la quale fondò anche una prodigiosa Città Astrale di nome Adocentyn. Il testo prosegue con una breve, ma esaustiva, descrizione di questa incredibile Città che non appare citata in nessun altro libro, prima del Picatrix:
I Magi Caldei asseriscono che Ermete fu il primo a costruire immagini con le quali controllava il corso del Nilo a seconda delle variazioni lunari. Egli eresse poi un Tempio al Sole e vi si nascondeva in modo da essere sempre presente ma invisibile. Fu lui inoltre a costruire nell'Egitto orientale una città la cui lunghezza era 12 miglia, e in essa un castello con 4 porte, su ognuno dei 4 lati. Pose la figura di un'Aquila sulla Porta d'Oriente, la figura di un Toro sulla Porta d'Occidente, la figura di un Leone sul quella Meridionale [Sud] e la figura di un Cane sul quella Settentrionale [Nord]. In queste immagini fece entrare forme spirituali che parlavano, e nessuno poteva entrare senza il loro consenso. Piantò degli alberi in mezzo ai quali ve ne era uno grande che portava appese ai rami le generazioni di tutti i frutti. Sulla sommità del castello fece edificare una torre alta venti cubiti, ponendovi sopra un faro (lat. rotunda) per illuminare la città con luci che cambiavano colore per 7 giorni. Alla fine dei sette giorni riprendeva il colore che aveva assunto per primo. La città ogni giorno era coperta dalla luce colorata del faro e perciò ogni giorno rifulgeva di un determinato colore. Lungo il perimetro della Torre vi era grande abbondanza di acqua e in essa molte specie di pesci. Attorno al perimetro della città collocò immagini intagliate che avevano il potere di proteggere gli abitanti da ogni male e di mantenerli sani e virtuosi. Questa città si chiamava Adocentyn. Coloro che ci vivevano conoscevano profondamente le scienze degli antichi e i loro segreti, nonché le scienze astronomiche. Io stesso vidi una costruzione così ordinata per nascondervi un uomo (3).
Testo in latino
Sunt etenim magi qui in hac sciencia et opere se intromiserunt Caldei; hi namque in hac perfectiores habentur sciencia. Ipsi vero asserunt quod Hermes primitus quandam domum ymaginum construxit, ex quibus quantitatem Nili contra Montem Lune agnoscebat; hic autem domum fecit Solis. Et taliter ab hominibus se abscondebat quod nemo secum existens valebat eum videre. Iste vero fuit qui orientalem Egipti edificavit civitatem cuius longitudo duodecim miliariorum consistebat, in qua quidem construxit castrum quod in quatuor eius partibus quatuor habebat portas. In porta vero orientis formam aquile posuit, in porta vero occidentis formam tauri, in meridionali vero formam leonis, et in septentrionali canis formam construxit. In eas quidem spirituales spiritus fecit intrare qui voces proiciendo loquebantur; nec aliquis ipsius portas valebat intrare nisi eorum mandato. Ibique quasdam arbores plantavit, in quarum medio magna consistebat arbor que generacionem fructuum omnium apportabat. In summitate vero ipsius castri quandam turrim edificari fecit, que triginta cubitorum longitudinem attingebat, in cuius summitate pomum ordinavit rotundum, cuius color qualibet die usque ad septem dies mutabatur. In fine vero septem dierum priorem quem habuerat recipiebat colorem. IlIa autem civitas quotidie ipsius mali cooperiebatur colore, et sic civitas predicta qualibet die refulgebat colore. In turris quidem circuitu abundans erat aqua, in qua quidem plurima genera piscium permanebant. In circuitu vero civitatis ymagines divers as et quarumlibet manerierum ordinavit, quarum virtute virtuosi efficiebantur habitantes ibidem et a turpitudine malisque languoribus nitidi. Predicta vero civitas Adocentyn vocabatur. Hi autem in antiquorum scienciis, earum profunditatibus et secretis atque in astronomie sciencia erant edocti. Ego autem vidi composicionem quandam ad hominem abscondendum taliter ordinatam (4).
Analisi del testo
La caratteristiche magiche di Adocentyn sono degne di una Favola, ma una volta sollevato il velame fiabesco emergono concrete informazioni a carattere storico e allegorico, particolarmente stimolanti per coloro che conoscono Ermete Trismegisto più come il «Padre dell'Alchimia» che come il Primo «Magus».
I Magi Caldei asseriscono che Ermete fu il primo a costruire immagini con le quali controllava il corso del Nilo a seconda delle variazioni lunari.
Il testo inizia con una affermazione che ci ricorda come ai tempi del Picatrix esistesse ancora una sorta di rivalità tradizionale tra la Magia Teurgica Egizia e la Scienza Caldea dei Magi. Il principio alla base dei due metodi («la Legge di Simpatia») era lo stesso, ma secondo Zosimo di Panopoli (5) (il primo Alchimista storicamente riconosciuto) la Scienza dei seguaci di Ermete era «spirituale e iniziatica», mentre quella dei seguaci di Zoroastro era «utilitaristica e mondana». La prima serviva a richiamare «esseri spirituali superiori» dentro corpi fisici provvisori, per comunicare con loro o per ascendere a «mondi superiori», la seconda «faceva violenza» a spiriti di ogni genere, imprigionandoli contro la loro Volontà in oggetti magici speciali, che venivano poi usati per ottenere benefici materiali (6).
L'Autore del Picatrix risolve a modo suo la questione affermando che i Magi stessi ritenevano Ermete Trismegisto il Padre di entrambe le Scuole Magiche e quindi dell'Arte di modificare il Destino tramite l'uso di Immagini (7).
La verità è molto più semplice: tanto gli Egizi che i Mesopotamici possedevano una loro Magia Astrale, un'Arte Reale destinata esclusivamente ai Re e ai Sacerdoti, allo scopo di fondare Città, costruire Templi, comunicare con gli Dèi, trasmutare le materie prime in mezzi di sussistenza. Durante l'epoca Alessandrina entrambi i popoli persero la loro millenaria indipendenza politica e la forzata ellenizzazione portò all'imbarbarimento delle rispettive Scienze Sacre, che vennero diffuse al di fuori dei loro Stati di origine, mescolandosi alla Filosofia Greca degli invasori e ai Culti Misterici degli altri Paesi assoggettati. In questo sfrenato eclettismo nacquero anche nuove Divinità tra cui lo stesso Ermete Trismegisto, il quale, assommando in sé le caratteristiche del Dio Greco Ermete e del Dio Egizio Thtot, prevalse automaticamente sulla figura di Zoroastro, che invece era “solo” un Profeta. Ciò spiega anche la presunta influenza di Ermete sul corso del Nilo. Il suo «alter ego» Thot era infattiuna Divinità Lunare, molto più complessa e importante del suo corrispettivo Greco, il cui potere non solo regolava le Maree, ma tutte le attività agricole, magiche, religiose e civili egizie, influenzate dai Cicli Lunari e dagli Astri (8).
Egli eresse poi un Tempio al Sole e vi si nascondeva in modo da essere sempre presente ma invisibile.
In questo passo l'Autore spiega che fu Ermete a creare per primo l'incantesimo dell'Invisibilità costruendo un Tempio Solare che gli consentiva di essere presente senza essere visto. Viene spontaneo chiedersi perché mai Ermete, un Dio Lunare, avrebbe dovuto creare e usare un Tempio Solare e in che modo questo si lega al suo presunto potere di divenire invisibile? Anche in questo caso la Realtà Storica nascosta dietro la leggenda è piuttosto semplice: in Egitto il Dio Thot era assimilato all'astro lunare, ma la Luna Nuova era assimilata a sua volta al “Sole Morto”, il Sole d'Inverno, perché entrambi splendono nascosti alla vista degli Esseri Umani, ma sono comunque sempre presenti (9). A conferma di ciò Thot, nella città di Ermopoli, era considerato una Divinità Demiurga che proteggeva la Sacra Ogodoade (gli 8 Dèi primigeni)e aveva in custodia l'Uovo Cosmico, il “Sole Addormentato”, che lui stesso aveva posto sulla Collina Sacra, affinché si schiudesse.
Fu lui inoltre a costruire nell'Egitto orientale una città la cui lunghezza era 12 miglia, e in essa un castello con 4 porte, su ognuno dei 4 lati.
Non esistono notizie storiche o conferme archeologiche che questo luogo, situato nell'Egitto Orientale, sia mai esistito e non è chiaro neanche come mai il testo latino traslitteri con l'intraducibile parola Adocentyn, l'originale arabo «al-Ašmunain» (10). Sappiamo però che quest'ultimo termine corrisponde al toponimo arabo El-Ashmunein, che a sua volta deriva dal copto Shmun, traslitterazione del nome dell'antica Città di Kh(e)m(e)nu (letteralmente la «Città degli Otto»), che i Greci ribattezzarono Ermopolis, ovvero la città di Ermete.
Adocentyn potrebbe dunque voler dire semplicemente Città di Ermes/Thot, cioè di Ermete Trismegisto, ed essere una sorta di «Nuova Ermopoli», una Città Magica ben più importante e speciale dell'antica Khmnu per i seguaci dell'Ermetismo. Non a caso l'ho chiamata Città Magica, perché la sua struttura urbanistica riflette perfettamente la forma del Templum Quadrato (11) o Templum Terrestre, uno spazio sacro orientato sull'incrocio degli Assi Cosmici del Templum Celeste, utilizzato dai popoli antichi (12) per le loro pratiche religiose e per i riti di fondazione, in modo che «Ciò che è in basso sia sempre il riflesso armonico della perfezione di Ciò che è in alto (13)».
Il testo riporta che Adocentyn era lunga 12 miglia e al centro vi era un castello quadrato con 4 porte, sul quale Ermete aveva eretto un Faro che proiettava una luce di 7 colori. La sua grandezza in “miglia terrestri” rappresenta esattamente l'estensione astronomica del Templum Celeste diviso in 4 parti dagli Assi Equinoziali e Solstiziali, nel quale si trova l'Eclittica, il Cerchio Astrologico dei 12 Segni Zodiacali, che a loro volta sono influenzati dal passaggio dei 7 Pianeti, rappresentati “in Terra” dai 7 Colori del Faro che “colorano” la Città. In totale quindi 23 benefiche energie cosmiche, proteggono e influenzano in modo specifico «La Città di Ermete» rendendola un luogo sacro e unico al mondo (14).
Pose la figura di un'Aquila sulla Porta d'Oriente, la figura di un Toro sulla Porta d'Occidente, la figura di un Leone sul quella Meridionale [Sud] e la figura di un Cane sul quella Settentrionale [Nord].
Al centro di questo eclettico Cosmos Filosfico (15) c'è il Castello, ovvero l'Omphalos del Cielo i cui ingressi sono protetti da 4 Animali Sacri, o meglio dalle loro «Immagini». Il loro potere si estende ovviamente fino alle 4 porte dell'Urbe, che sebbene non siano nominate, non possono che essere l'estensione degli Assi della Sfera Celeste dal Centro della Fortezza fino ai confini della Città Astrale. I 4 Animali rappresentano le 4 direzioni Cosmiche, i 4 Elementi ad esse associate e le 4 Costellazioni Zodiacali che vengono a trovarsi rispettivamente a Est, a Nord, a Ovest e a Sud degli Assi Solstiziali ed Equinoziali. Stabilire un parallelismo tra i 4 Animali di Adocentyn e le 4 Costellazioni Zodiacali è impossibile, in quanto l'astronomia egiziana non era esattamente come l'astrologia greca, che deriva da una rielaborazione delle conoscenze astrali mesopotamiche. Gli Egiziani non avevano infatti uno Zodiaco di 12 Segni, (lo splendido Zodiaco di Denerah è di epoca alessandrina), ma seguivano il levarsi e il tramontare di specifici Astri chiamati Decani, che annunciavano le piene del Nilo (controllate come abbiamo visto dal Dio Luna Ermete). Nell'Astrologia ellenistica del Picatrix ai 4 punti cardinali cosmici dovremmo trovare i segni dell'Ariete, del Cancro, della Bilancia e del Capricorno, in corrispondenza dell'Est (Fuoco), del Nord/Nadir (Acqua), dell'Ovest (Aria) e del Sud/Zenit (Terra). Inaspettatamente troviamo invece un Aquila, un Cane (16), un Toro e un Leone, che anche ricorrendo alla precessione degli equinozi non corrispondono alle Costellazioni dello Zodiaco, ma al contrario ricordano i 4 “animali viventi” dell'Apocalisse di Ezechiele (anch'essi di matrice mesopotamica) con l'eccezione dell'Uomo/Angelo sostituito dal Cane (17). Si potrebbe tentare allora di collegare i 4 Animali a 4 Divinità egiziane: il Leone potrebbe essere la Sfinge, oppure la Dea Leonessa Sekhmet, il Toro potrebbe indicare il Dio Apis, mentre il Cane potrebbe essere il Dio Anubis. Le possibilità però si fermano qui, perché in Egitto non c'erano Aquile e gli Egizi veneravano o il Dio Falco Horus oppure la Dea Avvoltoio Nekhbet.
In queste immagini fece entrare forme spirituali che parlavano, e nessuno poteva entrare senza il loro consenso.
Forse la scelta di queste immagini animali di potere è semplicemente il frutto dell'imbarbarimento simbolico e culturale tipico dei Grimori Medievali. Quel che conta forse è solo il loro significato magico, perché, anche se gli Animali non corrispondo a quelli delle Costellazioni o delle Divinità Egizie, l'uso di immagini «vivificate» e quindi «viventi» per rappresentare le 4 Direzioni Celesti, ci porta direttamente alla Magia Teurgica dei Sacerdoti Egizi, che il Libro tocca di sfuggita giusto per autoreferenziarsi un po'. L'immagine di Ermete che fa entrare intelligenze spirituali nelle rispettive figure animali, che richiedono una Parola di Passo, per permettere l'ingresso alla Città e al Castello, non è altro che il ricordo distorto delle antiche Cerimonie Misteriche e Religiose degli Egizi nelle quali il Sacerdote praticava il rituale dell'apertura della bocca sulle statue di legno degli Dèi, che in Egitto erano quasi tutti teriomorfi, avevano cioè sia forma umana, che animale, che mista (18). Tramite queste cerimonie le Divinità Celesti prendevano possesso di corpi costruiti appositamente per loro, e si manifestavano sul piano fisico, dimorando nelle loro Case Terrestri (i Templi), dove venivano accuditi e venerati dai fedeli. Questa usanza religiosa entrò poi nell'uso funerario e venne applicata, prima alle statue dei Faraoni, poi alle Mummie dei Re e dei Defunti di alto ragno, che così potevano recitare incantesimi salvifici nell'Aldilà e discolparsi davanti a Osiride e ai suoi 42 giudici, enumerando le azioni malvagie che non avevano compiuto da vivi. Evidentemente i Greci, come tutti i dominatori, rielaborarono a modo loro questi rituali religiosi e li ribattezzarono con il nome di Magia Teurgica senza capirne realmente il significato religioso e la portata culturale. Due sono i testi greci tardo-antichi più famosi (ma non certo più chiari) sull'argomento: un libro della fine del III secolo d.C., scritto dal filosofo neoplatonico Giamblico, intitolato i Misteri degli Egizi (19), e l'Asclepius (20), un trattato ermetico del IV secolo d.C., attribuito a Ermete Trismegisto, che parla esplicitamente di Magia Teurgica e nel quale vengono esposte vagamente le pratiche dei sacerdoti egizi volte ad animare statue tramite l'interazione con forze divine sovrannaturali.
Piantò degli alberi in mezzo ai quali ve ne era uno grande che portava appese ai rami le generazioni di tutti i frutti. Sulla sommità del castello fece edificare una torre alta venti cubiti, ponendovi sopra un faro (lat. rotunda) per illuminare la città con luci che cambiavano colore per 7 giorni. Alla fine dei sette giorni riprendeva il colore che aveva assunto per primo. La città ogni giorno era coperta dalla luce colorata del faro e perciò ogni giorno rifulgeva di un determinato colore. Lungo il perimetro della Torre vi era grande abbondanza di acqua e in essa molte specie di pesci.
Ermete,dunque, non solo fondò Adocentyn, ma le dette inviolabili leggi cosmiche con cui nutriva sia spiritualmente che materialmente (21) i suoi abitanti (22).
Attorno al perimetro della città collocò immagini intagliate che avevano il potere di proteggere gli abitanti da ogni male e di mantenerli sani e virtuosi. Questa città si chiamava Adocentyn. Coloro che ci vivevano conoscevano profondamente le scienze degli antichi e i loro segreti, nonché le scienze astronomiche.
Poiché «nel gregge della Fatalità non cadono i Teurghi (23)» Ermete potenziò l'effetto dei 12 Segni Zodiacali, delle 7 luci Planetarie e dei 4 Animali Cosmici, ponendo Adocentyn sotto l'influenza di altre 36 Entità, per un totale (23 + 36) di ben 59 benefiche energie cosmiche che mantenevano sani e virtuosi tutti coloro che vivevano sotto questa potente cupola di energia astrale.
L'Autore del Picatrix stranamente non specifica numero e natura di queste immagini intagliate che Ermete collocò intorno alla Città, ma è lecito supporre che si tratti dei 36 Decani Egizi, gli stessi che vengono descritti nel II Libro come immagini talismaniche e vengono chiamati prima con il nome di «Aspetti» e poi di «Adorugen», parola che deriva dall'Arabico «durayjan» e significa proprio Decano (24).
Come abbiamo già accennato i Decani Egizi erano 36 gruppi di Stelle (Asterismi e Stelle isolate) che sorgevano in particolari ore della notte. Ogni 10 giorni un Decano tramontava e uno sorgeva, coprendo in questo modo un periodo di 360 giorni corrispondente all'Anno Egizio (a cui dovevano poi essere aggiunti 5 giorni detti Epagomeni, per equipararlo all'Anno Solare). I Decani erano utilizzati come “orologi stellari”, ma erano anche considerate vere e proprie Entità Divine Stellari capaci di determinare gli eventi e il corso del Destino. Gli Egiziani li chiamavano “i Reggitori del Mondo” e credevano che persino il Dio del Sole, Ra, dovesse ricorrere a degli incantesimi per poter continuare il suo Viaggio, quando li incontrava sul suo cammino. Al Tramonto, infatti, i Decani regnavano incontrastati. Nell'Astrologia Ellenistico-Alessandrina a ogni Decano venne assegnato un arco di dieci gradi sulla fascia dello Zodiaco, cosicché ogni Segno Zodiacale fosse influenzato non solo dai Pianeti in Transito, ma anche da 3 Decani, aventi ciascuno una sua specifica “figura magica”.
NOTE
1) ILARIA BELTRAMME, La Società degli Eretici, Roma, Newton Compton, 2013. (Romanzo)
2) Il titolo originale del Picatrix è Gāyat-al-hakīm, lett. il Fine del Saggio, ed è attribuito a Abū- Maslama Muhammad ibn Ibrahim ibn 'Abd al-da'im al-Majrītī, oriundo di Cordova, morto nel 1007-8 d.C. In base alle fonti l'opera risulta tradotta “de arabico in hispanicum” nel 1256, sotto il regno di Alfonso X di Castiglia, detto il Savio. Nonostante la condanna della Chiesa troviamo il Picatrix nelle biblioteche dei più importanti studiosi del Rinascimento, da Pico della Mirandola e Marsilio Ficino a Enrico Cornelio Agrippa, ecc.
3) Traduzione tratta da due libri diversi: 1) Picatrix: Ghayat- al-hakim, "Il fine del saggio" dello Pseudo Maslama Al-Magriti, a cura di Paolo Aldo Rossi, Mimesis, Milano, 2000, p. 227, Libro IV, Paragrafo III; 2) FRANCES AMELIA YATES, Giordano Bruno e la Tradizione Ermetica, traduzione di R. Pecchioli, Roma-Bari, Laterza, 1969, p. 80-87.
4) Testo Latino tratto da: Picatrix: The Latin Version of the Ghayat Al-Hakim, edited by David Pingree, University of London, Warburg Institute, printed in England, w. s. Maney and Son Limited, Leeds, 1986, http://warburg.sas.ac.uk/pdf/fbh295b2205454.pdf
5) ZOSIMO DI PANOPOLI, Visioni e Risvegli, a cura di Angelo Tonelli, Milano, BUR, 2004, pp. 126-139.
6) Nel Picatrix si afferma che il Potere dei Talismani è simile a quello della Pietra Filosofale, dell’Elisir, che domina la materia e la altera trasmutandola in un altra materia più pura. La similitudine si baserebbe sul fatto che le Immagini Talismaniche fanno ciò per mezzo della «violenza», cioè vengono costruite secondo il momento “astronomicamente opportuno”, usando specifiche erbe, pietre, incensi, ecc, che obbligano gli spiriti vitali delle relative divinità astrali a entrare in relazione di simpatia con questi “Corpi” nei quali vengono attratti e restano imprigionati.
7) La Tradizione Medievale, attraverso la famosa Tavola di Smeraldo, ci fa sapere che Ermete era chiamato Tre Volte Grandissimo (Trismegisto), perché governava sulle tre parti della Saggezza e delle Leggi del mondo.
8) I Miti che raccontano le imprese di Thot, lo descrivono come un Dio esperto in Astronomia, Mago e Medico per eccellenza. Era infatti chiamato: «il Contatore delle Stelle», «il Numeratore della Terra», «Dio degli Scribi e della Scrittura geroglifica» (cioè del segno evocativo, dell'immagine concettuale) e «Signore delle Parole Divine», cioè delle Parole di Potere con cui è possibile dar forma e potenza al pensiero. ADA RUSSO PAVAN, Iniziazione ai Culti Egizi, divinità, Simboli, rituali, magia, amuleti, invocazioni, Roma, Mediterranee, 2000.
9) Thot a Eliopoli faceva invece parte della Piccola Enneade (a volte della Grande Enneade) aiutando Osiride nel giudizio dei Defunti nell'Aldilà. Osiride viene spesso associato dagli Esoteristi al Sole Nero, al Sole dell'Oltretomba, ma questo è sbagliato perché Osiride, il Sempreverde, in realtà è il Dio della Vegetazione, è legato al Sole perché è il Seme che muore e risorge seguendo i Cicli delle Stagioni. Thot «fa le veci del Sole di Notte», quando Ra, il vero Dio Solare, viaggia nell'oltretomba per riemergere al mattino.
10) FRANCES AMELIA YATES, Giordano Bruno e la Tradizione Ermetica, op. cit., p. 84 e pp. 80-87.
11) ELENA FRASCA ODORIZZI, Rasnal Truth. Un Gioco Archetipico di Ispirazione Etrusca, ilmiolibro.it, Roma, 2013, pp. 25-46, (L'Etrusca Disciplina e il Templum Etrusco).
12) Vedi i Popoli di Epoca Megalitica, Mesopotamici, Egizi, Etruschi, Romani, Maya, Aztechi, ecc.
13) «Magicam operari aliud non est quam maritare mundum» (la Magia non è altro che operare un Matrimonio Cosmico) dice il Pico nella sua famosissima XIII Conclusione Magica, ribadendo poi nell'Apologia "il Ministro" di questo Matrimonio tra Terra e Cielo è il Mago che opera "actuando vel uniendo virtutes naturales" (mettendo in pratica e unendo virtù naturali), cioè mettendo in pratica l'Opera Demiurgica che il Pimandro affida al Trismegisto dopo overlo istruito sul Senso e la Natura del Tutto.
14) Il numero 23 è costitutio dalle cifre 2 e 3, che per i Pitagorici rappresentavano i principi costitutivi dell'Unità primordiale e divina del nostro Mondo. Sommando il 2 (il primo dei numeri pari) e il 3 (il primo dei numeri dispari) otteniamo infatti una ierogamia aritmetica che si manifesta nel sacro numero 5, chiamato «assenza di contesa» in quanto espressione matematica della Dea Armonia. Su Adocentyn brilla dunque una Stella che riversa sulla Città la sua capacità di armonizzare gli opposti.
15) Il Cosmo Filosofico Ellenistico è la rielaborazione finale di tutte le conoscenze magico-misteriche del mondo egizio-mesopotamico, filtrate dalla Cultura Greca. I nomi dei 7 Pianeti, così come li conosciamo, sono la traslitterazione Latina dei nomi degli Dèi Greci.
16) Se corrispondesse all'omonima costellazione del Cane Maggiore spiegherebbe l'elemento Acqua. La "canìcola" rappresenta infatti il periodo di caldo afoso e opprimente delle ore centrali della giornata, caratterizzato da alti valori di temperatura e umidità e assenza di vento. Il nome deriva dal latino Canicula ("piccolo cane"), ovvero la stella più luminosa (Sirio) della costellazione del Canis Maior, che sorge e tramonta con il Sole (levata eliaca) dal 24 luglio al 26 agosto (il periodo appunto della "canìcola"). Il nome della costellazione deriva probabilmente dagli antichi Egizi, in quanto avvertiva (come un cane vigile) l'arrivo del periodo delle inondazioni del Nilo.
17) Se il Cane si riferisse alla Stella Sothis, e quindi a Iside, avremmo il nostro “Angelo”.
18) Un altro altro Culto Misterico, di natura sincretistica, nel quale sono utilizzate Parole di Passo per accedere a Mondi Superiori attraverso una Via Planetaria è il Culto di Mithra. Questa concezione confluì poi, in modo confuso, nello Gnosticismo.
19) GIAMBLICO, I Misteri dell’Egitto, Como, Red Edizioni, 1999.
20) La traduzione latina dell'Asclepius viene fatta risalire al IV sec. d.C., in quanto viene usata da S. Agostino e non da Lattanzio, che lavora ancora direttamente sull'originale greco. Ritroviamo l'Asclepius nel Corpus Hermeticum raccolto e collezionato intorno al 1050 circa, dallo studioso bizantino Michele Psello il quale rimosse probabilmente elementi strettamente magici e alchemici, rendendo il Corpus più accettabile per la Chiesa Cristiana Ortodossa.
21) Questa sorta di Albero Cosmico che produce ogni genere di frutto, quasi custodisse il DNA di ogni pianta, ricorda gli Alberi Alchemici sui quale sono presenti i simboli dei 7 Pianeti e dei 7 Metalli. Quella dell'Albero è infatti una immagine ricorrente nell'Alchimia, anche semplicemente per indicare l'Opera della Natura, rispetto all'Opera Artificiale o Imitativa dell'Essere Umano.
22) Ficino, nel suo Argumentum preposto al Pimander, lo interpreta similmente. Rifacendosi a Cicerone scrisse anche che Ermete “dette leggi e lettere agli Egizi” e fondò la città di Ermopoli.
23) MICHELE PSELLO, Oracoli Caldaici, con appendici su Proclo e Michele Italo, a cura di Silvia Lanzi,I Cabiri, Milano, Mimesis, 2001, fr.153.
24) Anche Ermete, in uno dei suoi libri dice che «se onorerai ciascun Decano con la propria Pietra, la propria Pianta e la relativa Immagine, tu possiederai un potente Talismano. Poiché niente accade senza il volere dei Decani, dato che in esso il Tutto si compie».
25) ERMETE TRISMEGISTO, Corpo Ermetico e Asclepio, a cura di Bianca Maria Tordini Portogalli, Milano, SE, 1997, pp. 134-138.
26) Soprattutto il Dio mesopotamico Sin, che è una divinità Maschile e Lunare come il dio Thot.
27) Vedi Manuale di Storia della Filosofia Medievale, Cultura Harranica, http://www.unisi.it/ricerca/prog/fil-med-online/temi/htm/harran.htm, JACK LINDSAY, Le origini dell’Alchimia nell’Egitto Greco-Romano, Roma, Mediterrane, 1984, p. 182 ; ARISLEO, La turba dei filosofi seguita dal discorso di un anonimo sulla turba, Biblioteca Ermetica , Roma, Mediterranee, 2002, p. 15, Introduzione e Commento di Paolo Lucarelli. Cfr. anche MICHELA PEREIRA, Arcana Sapienza, Roma, Carocci, 2001, pp. 79-80.
28) LIBANIO DI ANTIOCHIA, In Difesa dei Templi.
29) « Il Serapeo, il cui splendore è tale che le semplici parole possono solamente sminuirlo, è talmente ornato di grandi sale colonnate, di statue che sembrano vive e tanta moltitudine di altre opere, che niente altro, eccetto il Campidoglio, simbolo dell'eternità della venerabile Roma, può essere considerato più fastoso al mondo.» AMMIANO MARCELLINO, Res Gestae, XXII, 16.
30) Dalla struttura diroccata di questa Torre, secondo alcuni studiosi deriverebbe l'immagine iconografica del Tarocco della Torre. Allo stesso modo i due Pilastri dell'Arcano della Luna sarebbero un richiamo ai Pilastri della Conoscenza della città di Edessa, l'antica Ur, ricostruiti nel I secolo sul luogo dove la leggenda riferisce che Nimrod, il costruttore della città di Babele (e per la Bibbia della sua famosa Torre), avesse innalzato due pilastri contenenti la sintesi di tutta la scienza dei cieli di prima del diluvio (così come riportato anche da Giuseppe Flavio). Pilastri che ricordano i due pilastri posti di fronte al tempio di Gerusalemme, compresi i Dadofori del Tempio di Mithra, passati poi nei Templi Massonici.
31) A questo proposito è necessario aprire una parantesi sulla tanto famosa Torre degli Yazidi, facente parte delle «Sette Torri di Satana» citate da Guenon. Che nel Mondo ci siano persone che non vogliono certo il benessere e il progresso dell'Umanità, siamo tutti d'accordo, ma attaccare etichette a un popolo e perpetrare razzismo, ignoranza e violenza, è un'altra cosa. Gli Yaziti discendono degli Assiri, il loro Santuario si trova sul Monte Lalish dove un tempo si trovava la città di Ninive. Nella loro religione sono confluiti, nel tempo, elementi di giudaismo cabalistico, zoroastrismo e misticismo islamico, ma ovviamente il substrato è di origine Caldea. Se esiste una fantomatica Torre degli Yaziti questa trae evidentemente origine dalle Torri Astronomiche mesopotamiche, senza contare che il Pavone, l'animale con cui si manifesta “l'angelo caduto” degli Yaziti, per gli Ermetisti è uno dei simboli alchemici della Grande Opera che si manifesta attraverso la ruota dei 7 colori dei Pianeti.
32) Tutte queste notizie su Harran provengono dal'l'unico studio pubblicato sull'argomento The ancient observatory of Eski Sumatar, di Theodor Hary, citato in rete su http://mystero.forumcommunity.net/?t=51178992 - http://unchartedruins.blogspot.it/2012/07/harran-of-sabians.html - http://unchartedruins.blogspot.it/2012/08/the-hall-of-records-temple-of-seven.html . Su questi siti è possibile vedere anche numerose e splendide foto di Harran e Eski Soğmatar.
33) Cosimo I dè Medici nel 1564 fece costruire, ex novo, una città fortificata che chiamò «Terra del Sole». Questa doveva assolvere a funzioni amministrative, giudiziarie, militari, religiose e commerciali ai confini con la Romagna, oltre a rafforzare l'identificazione tra la figura di Cosimo e il Sole, simbolo di quell'Ordine e di quella Razionalità che il Duca voleva incarnare.
34) ANNA MARIA PARTINI, Magia astrologica: da Ermete a Cecco D'Ascoli e da Cecco D'Ascoli a Campanella.
35) Va notato come anche la Tomba di Rosenkreutz, descritta nella Fama Fraternitas, sia stata costruita astronomicamente come Adocentyn, per rappresentare una immagine dell'Universo. «La mattina seguente aprimmo la porta e vedemmo un sepolcro con sette lati e sette angoli; ogni lato era lungo un metro e mezzo e alto due metri e mezzo circa. Sebbene la luce del sole non vi fosse mai penetrata, la cappella era illuminata da un Sole artificiale, che pareva aver imparato dall'astro il segreto dell'illuminazione ed era sospeso in alto al centro della volta. Nel mezzo, invece di una pietra tombale, vi era un altare rotondo, ricoperto da una lastra di ottone su cui era inciso: «A.C.R.C. Hoc universi compendium unius mihi sepulcrum feci» [«Feci questo compendio dell'universo durante la mia vita perché costituisse la mia tomba»]. Intorno al primo cerchio, o bordo, vi era: «Iesus mihi omnia» [«Gesù, tutto per me»]. Al centro vi erano quattro figure, inscritte in cerchi, ciascuna circondata da uno dei seguenti motti [...]. Questa cappella la dividemmo in tre parti: la volta o soffitto, le pareti o lati, il pavimento o suolo.»
36) CLAUDIO STROPPA, Jan Amos Comenius e il Sogno Urbano, Milano, Franco Angeli Editore, 2007.
37) JEAN SERVIER, Storia dell'Utopia. Il Sogno dell'Occidente da Platone ad Aldous Huxley, Roma, Edizioni Mediterranee, 2002 (1a ed. 1967).
di Elena Frasca Odorizzi
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