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26 febbraio 2020 3 26 /02 /febbraio /2020 23:11


Solo un anno e mezzo fa, gli ultimi  studi scientifici  riportati della NASA  e pubblicati su “Earth and Planetary Science Letters” hanno mostrato come l’asse terrestre  si è spostato nel corso dell’ultimo secolo di 10 Metri.
Come sappiamo, la Terra non è una sfera perfetta ma è leggermente schiacciata ai Poli. Quando ruota attorno al proprio asse ossia la linea immaginaria che attraversa il Polo Nord e il Polo Sud, si muove e oscilla. Questi movimenti dell’asse di rotazione sono definiti scientificamente “movimenti polari”.

Le misurazioni e i calcoli condotti dalla NASA non mentono : l’asse di inclinazione si è spostato di oltre 10 metri, con una media circa 10 centimetri all’anno. Ricordiamo che l’asse terrestre è attualmente inclinato di 23.5°rispetto alla perpendicolare al piano dell’eclittica e che questa inclinazione non è mai costante ma varia nel corso dei millenni : in particolare varia da un minimo di 22.5° ad un massimo di 24.5° nell’arco di 41 mila anni. L’inclinazione di 10 metri corrisponde ad pochissimi millesimi di grado.

QUALI LE CAUSE DI QUESTO FENOMENO?
Le cause di questa  inclinazione di 10 metri sono due : i terremoti e lo scioglimento dei ghiacci polari.
Come ben sappiamo i forti terremoti, specie quelli superiori alla magnitudo 9.0 sulla scala richter, sono in grado di spostare di pochi centimetri l’asse terrestre a causa dell’enorme energia che sono in grado di liberare (superiore a migliaia e migliaia di bombe atomiche).


 
Anche lo scioglimento dei ghiacci indotto dai cambiamenti climatici è l’altra causa di questo spostamento dell’asse ed è stato dimostrato da recenti studi. In particolare l’effetto che ha determinato questa modifica può essere denominato come “rimbalzo glaciale” (letteralmente “glacial rebound”) : in pratica le vaste masse di ghiaccio attorno ai poli hanno depresso la superficie terrestre proprio come un materasso si comprime quando ci si siede su di esso- Quando il ghiaccio si scioglie la Terra torna alla sua posizione originale ed è proprio quello che sta accadendo negli ultimi decenni.
Secondo gli scienziati lo scioglimento dei ghiacci è responsabile solo di un terzo dello spostamento dell’asse : i restanti due terzi sono da attribuire ai forti terremoti.

L’articolo NASA : L’asse terrestre si è spostato di 10 metri sembra essere il primo su Universo7p.it.

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20 gennaio 2020 1 20 /01 /gennaio /2020 23:03

Il Taal è uno stratovulcano attivo situato nella regione di Calabarzon, provincia di Batangas, sulla costa occidentale dell'isola di Luzon, nelle Filippine. Il vulcano è costituito da un basso cono di tufo che sorge nel mezzo del lago Taal, all'interno di una grande caldera del diametro di 25 chilometri. A nord delle Filippine  a circa 70 chilometri dalla capitale Manila, in un'area metropolitana abitata da oltre 12 milioni di persone, vi è un'enorme caldera vulcanica con un diametro di oltre 20 km.
Praticamente per darvi un'idea dimensioni superano anche i nostri 
Campi Flegrei.

Un vulcano che, solo in questi ultimi giorni ha dato non poche preoccupazioni a migliaia di persone che abitano troppo vicino ad esso: il vulcano ha dato un tangibile segno di voler eruttare con una forza spaventosa. Il governo, ha dato ordine di abbandonare tutte le case e di non tornare per evitare vittime;  nonostante questo molte persone sono ritornate a prendere cose a casa o a dar da mangiare ai loro animali.

 

Secondo il governo filippino, l’eruzione avrebbe già provocato danni all’agricoltura, all’allevamento e alla pesca per oltre 53 milioni di euro. Le autorità hanno allontanato 50mila persone che abitavano in zone pericolose nelle province di Batangas e Cavite e ha allestito 200 campi per accoglierle. Intanto le città, i campi e le foreste attorno sono state completamente ricoperte di cenere. Il 14 gennaio la colonna eruttiva si è interrotta: ciò vuol dire che “questa fase di picco esplosivo è scemata”, ma l'eruzione è ancora in corso e “può evolvere in un'eruzione di tipo esplosivo, finire, o magari dare origine esplosioni violente di acqua e rocce (dette di tipo freatico) che possono andare avanti per un tempo lungo”, ha spiegato all'Ansa Piergiorgio Scarlato, dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. Il fatto che sia stata decisa un'evacuazione di tipo preventivo “con un così alto numero di persone indica che un'evoluzione esplosiva di tipo Pliniano (come quella di Pompei nel 79 d.C.) è un'ipotesi reale, decisa su un principio di cautela”, ha detto ancora Scarlato.

 

In questo caso però l'impatto sarebbe ben maggiore dell'area di 25 chilometri quadrati evacuata e avrebbe ricadute “ben più ampie, per centinaia di chilometri. Basti pensare che nel raggio di 100 chilometri vivono 20 milioni di persone”.  I vulcani filippini sono autentiche bombe atomiche, che esplodono con una violenza inaudita: il più noto, nel 1991, è stato il monte Pinatubo, che dopo 500 anni, il 15 giugno, aveva sventrato una montagna in pochi secondi e le sue ceneri miste a pietre erano salite fino a 32 km di altezza, ricadendo poi e lasciando sul terreno un totale di 722 morti con 200 mila persone senza tetto. Non sappiamo ancora se il vulcano Taal entrerà nella storia delle catastrofi, speriamo proprio di no.

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12 gennaio 2020 7 12 /01 /gennaio /2020 23:03

Brasile, e ora ci addentriamo nella foresta pluviale più grande del mondo: l’Amazzonia. Arriviamo in una zona dove la vegetazione si dirada abbastanza da permetterci di osservare attentamente i dintorni, e davanti a noi vedo un ramo che fa proprio al caso nostro. Mi sono assicurato di portare un bel pezzo di carne fresca e sanguinolenta, e ora, amici, vi chiedo di aiutarmi a legarlo a quel ramo. Non sono sicuro che funzionerà come esca, ma la protagonista di questa puntata è sicuramente abituata a consumare pasti del genere. Presto, nascondiamoci tra la vegetazione! C’è qualcosa nel cielo e si sta avvicinando a grande velocità: è un uccello. Un gigantesco uccello.

 

In quei pochi secondi che gli servono per coprire la distanza che lo separa dalla carne, ci rendiamo davvero conto delle dimensioni di questo animale: le sue ali sono enormi, e una grande testa ricoperta di piume grigie termina in un becco acuminato pronto a lacerare e dilaniare. È quasi arrivato, ecco che sfodera i suoi artigli impressionanti e li affonda nell’esca, mangiando avidamente dopo aver ripiegato le ali.  vi presento uno dei più grandi rapaci al mondo: l’aquila arpia.

arpia2
Già, questo impressionante uccello prende il nome dai mostri della mitologia greco-romana che avevano teste di donna su un corpo d’aquila. Tuttavia, l’arpia che abbiamo davanti (Harpia harpyja) è senza dubbio un uccello da preda al 100%. Ora che possiamo osservarla in tranquillità mentre è concentrata sul suo pasto, notiamo che la sua colorazione è tra il nero e il marrone sul dorso, mentre le zampe, il ventre e la superficie inferiore delle ali sono prevalentemente bianchi. La testa, invece, è di un grigio tendente al metallizzato. Come abbiamo già potuto notare, le dimensioni di questo rapace lasciano ammutoliti: le femmine di aquila arpia possono raggiungere un peso di circa dieci chili (i maschi, invece, sono molto più piccoli, solitamente la metà rispetto alle partner), imponendosi così come credibili aspiranti al trono di “più grande tra le aquile”, che si contendono con l’aquila di Papua (Harpyospis novaeguineae) e l’aquila di mare di Steller (Haliaeetus pelagicus). Per quanto riguarda l’apertura alare, invece, l’arpia è sicuramente inferiore alle due rivali, ma non per caso: questo uccello vive in un ambiente costituito da fitte foreste tropicali, dove ali troppo lunghe sarebbero esposte al rischio di urti e fratture. Ciononostante, l’arpia vanta comunque un’apertura alare di tutto rispetto, che può tranquillamente superare i due metri.

 

Il suo becco è piuttosto corto rispetto a quello di altri suoi cugini rapaci, ma comunque in grado di strappare brandelli di carne dalle prede. In ogni caso, la vera arma letale dell’arpia sono i suoi artigli. Sono tre per zampa, lunghi fino a 15 cm, e ricordano molto quelli dei dromeosauridi che abbiamo incontrato molto tempo fa in Jurassic Week. L’aquila li usa per afferrare saldamente le sue prede, solitamente scimmie di vario tipo e bradipi, e sollevarle in aria grazie alla straordinaria forza delle sue zampe: se volesse, questo uccello potrebbe tranquillamente alzarsi in volo stringendo nella sua morsa un bambino di cinque anni.
L’aquila arpia è, almeno teoricamente, diffusa dal Messico al nord dell’Argentina, e regna nei cieli delle foreste pluviali. Dico teoricamente perché questo uccello è sempre più raro allo stato brado, per via della sistematica distruzione del suo habitat che viene trasformato in terreni agricoli o di pascolo: questo processo, che ha portato alla sua quasi completa estinzione in America centrale, minaccia l’arpia anche in Brasile, dove la popolazione di aquile si è drasticamente ridotta anche a causa della caccia indiscriminata; è perciò fondamentale supportare attivamente i progetti di conservazione in atto per impedire che questo straordinario animale scompaia dai cieli dell’America Latina.

Le Arpie: la storia

È in effetti questo il compito affidato da Zeus alle due arpie, Aella e Ocipete, quale parte della punizione da lui inflitta al re della Tracia Fineo, reo di svelare troppo di ciò che scopriva grazie al suo dono della profezia. Dopo averlo accecato, il padre degli dei lo confinò su un'isola fornendogli un ricco banchetto al quale, tuttavia, non poteva accedere. Ogni volta che vi si avvicinava, infatti, le arpie giungevano dal cielo a portargli via il cibo dalle mani e defecare su quanto si lasciavano dietro.

Al tormento posero fine gli Argonauti guidati da Giasone, più precisamente Zete e Calaide, figli di Boreo, il vento del nord, e come tali in grado di volare. Essi inseguirono le arpie e le misero in fuga senza però far loro del male, nel rispetto di una richiesta di Iris.

Come la dea aveva promesso, le arpie non tornarono più a infastidire il re indovino, che per riconoscenza rivelò a Giasone il sistema per attraversare le terribili rocce semoventi del Bosforo.

Un avaso decorato e due illustrazioni di un'arpia
foto: alcune illustrazioni di una Arpia e un antico vaso decorato.


Fuggite nelle isole Strofadi, le arpie, a cui nel frattempo si era in qualche modo aggiunta una terza sorella, Celeno, ebbero poi modo di incontrare Enea, che aveva fatto tappa lì nel corso del suo viaggio verso l'Italia.

Privo di alleati volanti, l'eroe troiano non ebbe modo di difendersi dalle creature, che misero lui e i suoi in fuga, non prima di aver profetizzato che nel corso del loro viaggio avrebbero sofferto la fame al punto da dover mangiare le loro stesse mense (una minaccia non poi così terribile se si considera che le mense erano focacce di farro essiccate usate a mo' di piatto).

Delle arpie si trovano tracce anche in letteratura successiva.
Dante Alighieri le pone infatti all'Inferno, nel canto XIII, a infestare la foresta dei suicidi nel secondo girone, una situazione illustrata sia da Gustave Doré che da William Blake nel suo The Wood of the Self-Murderers: The Harpies and the Suicides.

Il bosco dei suicidi di William Blake con le Arpie
foto: il dipinto di William Blake sul bosco dei suicidi con le Arpie dell'Inferno di Dante Alighieri.
 

Le Arpie: aspetto e caratteristiche

Come già accennato, le arpie sono state spesso confuse con le sirene, le tre donne alate che attiravano i naviganti contro gli scogli grazie alla loro incantevole voce, ma che per una serie di equivoci e confusioni linguistiche hanno poi acquisito caratteristiche ittiche nell'immaginario collettivo.

Questa confusione si accentua anche in ambiti quali il gioco di ruolo Dungeons&Dragons, nel quale le arpie dispongono di una voce che incanta gli avventurieri.

Questo le ha portate a un progressivo imbruttimento, culminato proprio nelle vicende degli Argonauti, per quanto già in precedenza fossero state rappresentate come donne in apparenza seducenti ma terrificanti a distanza ravvicinata, talvolta perfino dotate di serpi al posto dei capelli come le gorgoni.

A prescindere dal loro aspetto, comunque, le arpie sono sempre state creature essenzialmente maligne, impegnate soprattutto a privare i mortali del cibo, ma non di rado anche a divorarli, un compito che, per quanto affidato loro dagli dèi, sembravano svolgere con estremo piacere.

Le Arpie all'Inferno di Gustave Doré
foto: l'incisione di Gustave Doré a illustrare l'Inferno dantesco con le Arpie.


Tra i loro doveri vi era quello di tormentare chiunque attraversasse le Strofadi diretto verso il Tartaro, tanto per rendergli più piacevole il viaggio come se la destinazione di per sé non fosse stata sufficiente.

L'aquila neotropicale chiamata ArpiaIn alcuni ambiti, tuttavia, le arpie vengono anche considerate psicopompi, guide per le anime destinate all'aldilà, cosa che viene evidenziata dalla loro raffigurazione su alcune tombe.

In almeno un caso le arpie vengono viste però anche come portatrici di vita. Una di esse infatti, si presume Celeno, fecondata dal vento dell'ovest Zefiro, è la madre dei cavalli dell'eroe Achille.

 

fonte

L' arpia che non è una leggenda in Amazzonia
L' arpia che non è una leggenda in Amazzonia
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8 dicembre 2019 7 08 /12 /dicembre /2019 08:42

Secondo la geobiologia la Terra sarebbe attraversata da un sistema di linee che formerebbe una rete con dei punti di incrocio, i “nodi di Hartmann”, che sarebbero nocivi per l’organismo in quanto provocherebbero le cosiddette geopatie.
Oltre alla sua attività di lavoro medico Ernst Hartmann, nel 1948, insieme al suo fratello Robert si dedicò alla geobiologia e alla radiestesia. Inoltre, ha studiato e applicato la medicina omeopatica, e più tardi l’architettura. Il reparto di ricerca di geobiologia   è stato da lui fondato. Hartmann ha elaborato le prime teorie  sin da giovane studente,  su dei pazienti e osservando attentamente le loro cartelle cliniche.  

 

Osservò che la mortalità in alcuni letti d’ospedale sembrava essere più elevata che in altri. Hartmann  era sicuro che, attraverso le analogie riscontrate,  la causa del numero di morti, molte inspiegabili,  fosse dovuto alla zona in cui i letti dei pazienti erano posti. Inoltre, come medico praticante, ha indagato su pazienti che non rispondevano più ai trattamenti notando l’associazione della malattia con le immediate vicinanze del paziente a zone dette Geopatogene. Hartmann, che dal 1948 si dedicò intensamente alla cosiddetta radiestesia sospettò che la causa provenisse proprio dalla influenza terrestre.

 

Di conseguenza, queste ipotesi servirono ad Hartmann come base per i trattamenti. Con  suo fratello, progettò un modello il cosiddetto Global Grid (reticolo globale), composto da fascie orientate verso nord-sud ed est-ovest che formano la cosiddetta rete di Hartmann.

 

GEOPATIA DISTURBO MAGNETICO
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29 novembre 2019 5 29 /11 /novembre /2019 23:16

La dendroclimatologia è una branca della paleobotanica, che ricostruisce  il clima passato sulla base soprattutto di studi riguardanti la dendrocronologia cioè l’analisi degli anelli di sviluppo delle piante.

Attraverso l’analisi degli anelli d’ accrescimento dell’albero si possono ricostruire piovosità, temperature, umidità di una data zona. La formazione di un anello  è legato ad esempio a  fasi di stress come la siccità, che ne riducono lo sviluppo.

Nell’ effettuare uno studio di dendrocronologia si confrontano  le sequenze anulari di alberi vissuti nella stessa area geografica nello stesso periodo di tempo (cross-dating). L’esempio di cross-dating  è nella figura sottostante in cui anelli di crescita di piante esistenti si sovrappongono a legnami usati in fabbricati e a resti di legno. Questo processo permette una ricostruzione dendrocronologia di parecchi secoli.

Cliccare immagine per ingrandire

Spesso è stata data una valenza globale ad alcuni lavori scientifici  (ad esempio l’ hockey stick). Invece sia la dendroclimatologia  che la dendrocronologia presentano molteplici limiti e problematiche che rendono difficile una ricostruzione precisa del clima a livello mondiale .

Limiti  e problemi degli  studi  dendrocronologici e della  dendroclimatologia

Per eseguire uno studio di dendrocronologia deve esistere una netta distinzione tra la stagione estiva e invernale per favorire nella pianta  uno sviluppo di un anello di accrescimento facilmente visibile. Se durante la primavera sono presenti dei ritorni di freddo oppure in autunno si creano di freddi intensi e precoci la pianta può sviluppare un falso anello. Inoltre non si possono fare studi di dendrocronologia in zone equatoriali dove la mancanza di variazioni stagionali provoca negli alberi l’assenza di  anelli di accrescimento. Gli studi  di dendroclimatologia hanno anche  il grosso limite di non considerare le zone oceaniche. Quindi escludendo le zone equatoriali, e gli oceani rimane meno di un terzo della superficie globale interessato dagli studi di dendrocronologia.

Esiste anche il  problema della risoluzione dell’anello: la pianta entra in forte stress  e per superarlo necessita a volte di diversi anni in cui lo sviluppo dell’anello sarebbe rallentato.

Gli studi di dendrocronologia ci segnalano l’andamento dell’ambiente in condizioni di vegetazione (fra primavera, e autunno) mentre risulta impossibile avere informazioni dell’andamento delle temperature e delle precipitazioni nel periodo invernale in quanto le piante sono in riposo vegetativo.

 

Negli studi di dendrocronologie ci si basa sul principio che alberi  della stessa specie legnosa, viventi nella medesima area geografica, producono nello stesso periodo di tempo serie anulari simili, ma a mio avviso sono sufficienti piccole variazioni genetiche e  pedoclimatiche a indurre uno sviluppo differente delle piante. Un esempio di variazione genetica è che all’interno della stessa specie legnosa possono svilupparsi ecotipi maggiormente resistenti agli stress ambientali (esempio siccità).  Un esempio di variazione pedo-climatica è dato dalla natura del terreno sabbioso oppure argilloso in cui la pianta si trova a crescere che danno una risposta differente per nutritivi (azoto, fosforo, potassio, ecc) e disponibilità d’acqua.
Un’altra problematica è dovuta alla considerazione dei fattori di crescita (precipitazioni, umidità, temperature) da un punto di vista lineare al crescere del fattore aumenta lo sviluppo dell’anello; nella realtà  questo è vero solo fino ad un certo limite al disopra del quale si possono avere effetti non lineari (eccessi di precipitazioni che ristagnando sul terreno portano la pianta in stress).
Infine esiste il problema della divergenza delle temperature osservate e quelle ricavate dagli anelli degli alberi. Dal 1950  valori strumentali e gli studi di dendrocronologia hanno mostrato delle divergenze nella ricostruzione del clima.

Twenty-year smoothed plots of averaged ring-width (dashed) and tree-ring density (thick line), averaged across all sites, and shown as standardized anomalies from a common base (1881-1940), and compared with equivalent-area averages of mean April-September temperature anomalies (thin solid line). From Briffa, K. "Trees tell of past climates: but are they speaking less clearly today?", Proceedings of the Royal Society 1998

Spero di aver chiarito perché ritengo che certe ricostruzioni fatte con gli anelli degli alberi non possano avere una valenza globale ed essere valide nella ricostruzione del clima nel periodo attuale.

 

 

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10 settembre 2019 2 10 /09 /settembre /2019 22:51

Siamo abituati a considerare le formiche come piccoli e indifesi insetti pacifici che passano la loro intera vita a lavorare per il bene della loro colonia, tutt’altro che pacifica è la formica proiettile. Non capita spesso di essere vittime di un attacco di una formica in grado di provocarci dolori lancinanti con un solo morso, probabilmente perché viviamo nella “parte fortunata” del globo terrestre, dove al massimo possono essere loro le sfortunate prede. Appartiene alla specie Paraponera clavata, unica rappresentante dell’intero genere Paraponera. Si tratta di una formica dotata di straordinarie armi di difesa e d’attacco: lunga da 18 a 30 millimetri, è una predatrice formidabile grazie alla sua naturale aggressività e ad un pungiglione capace di inoculare un veleno dolorosissimo anche per l’essere umano.

Diversamente avviene nel Sud  America dove, per quanto possiate essere imponenti, è facile diventare la preda di un insetto del genere. La formica in questione, la cosiddetta formica proiettile (Bullet Ant), è così definita perché un suo morso è paragonabile al dolore che si prova quando si viene colpiti da un proiettile.

La formica proiettile è detta anche "hormiga veinticuatro" perché il dolore dura 24 ore.
Un esemplare della temibile e dolorosa formica proiettile.

 Le popolazioni locali la chiamano hormiga veinticuatro ovvero “formica 24”, perché il dolore provocato dal suo morso dura ben 24 ore. L’habitat tipico di una formica proiettile è costituito dalle foreste pluviali del Centro e Sud America. Trattandosi di formiche la nostra mente ci porta in automatico a pensare ad insetti di piccole dimensioni, ma in realtà sono più grandi rispetto alla norma: infatti la formica operaia misura circa 3 cm, mentre la formica regina può raggiungere anche dimensioni maggiori. A confermare la pericolosità di questo piccolo animale, vi è anche la scala del dolore delle punture di insetto di Schmidt. Questa scala, elaborata dal Dr. Justin Orvel Schmidt in una ricerca pubblicata nel 1983, classifica i morsi di svariati insetti imenotteri identificandoli, in base al dolore da essi prodotto, con un numero da 0 a 4. Al numero zero corrispondono le punture di quegli insetti che l’uomo a stento percepisce perché non bucano la pelle. Il numero 2 invece indica il dolore provocato da una puntura di ape o di vespa. la puntura della formica proiettile viene classificato con 4, ovvero il massimo della scala. Lo stesso Dr. Schmidt, che ha provato sulla sua pelle ogni tipo di morso di insetto, lo definisce come Un dolore puro, intenso, accecante, come camminare sui carboni ardenti con un chiodo di tre pollici infilato nel tallone”.

il dolore prodotto dal puntura di una formica proiettile è classificabile con 4 nella scala di Schmidt.
la puntura di una formica proiettile produce un dolore lancinante e immediato, provocando impulsi incontrollabili che causano un tremore nella parte interessata.

Questa sua accurata descrizione dovrebbe bastare a tenere chiunque lontano da questa specie ma, nonostante la sua fama di portatrice di dolore, viene utilizzata da alcune temerarie popolazioni locali, ad esempio la tribù de i Satere Mawe, come mezzo per il rito di iniziazione alla virilità. Tale rito consiste nel far indossare ai giovani che lo intraprendono dei  guanti fatti di foglie al cui interno sono presenti decine di formiche del suddetto esemplare.

La Paraponera clavata crea colonie composte da centinaia di individui, colonie generalmente collocate alla base di un albero. Due ricerche condotte in Costa Rica e sull’isola di Barro Colorado hanno riscontrato una densità di circa 4 nidi per ettaro e oltre 70 tipi di alberi differenti scelti come residenza per la colonia.

Sono formiche predatrici che si nutrono di insetti e nettare risalendo l’albero che hanno scelto come casa fino a raggiungere le zone più produttive o più popolate da artropodi; raramente vanno a caccia sul terreno. Le gocce di nettare vengono trasportate utilizzando le grosse mandibole e costituiscono la maggior parte delle scorte alimentari di queste formiche.

Fonti: The University of Arizona

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3 luglio 2019 3 03 /07 /luglio /2019 21:52

Che cosa dice la Scienza...

L’effetto di riscaldamento dovuto all’aumento di CO2 supera di gran lunga l’influenza dovuta ai cambiamenti dell’orbita terreste o all' attività del Sole, anche se il Sole dovesse riportarsi ai livelli del Maunder minimum.

Le argomentazioni degli scettici...

Ci stiamo muovendo verso una nuova era glaciale

Qualche secolo fa il pianeta ha sperimentato una lieve era glaciale singolarmente chiamata Piccola Era Glaciale. Parte di tale Era Glaciale coincise con un periodo di bassa attività solare detto minimo di  Maunder (dal nome dell’astronomo Edward Maunder). Si ritiene che a tale fase climatica abbiano contribuito sia la ridotta attività solare che una forte attività vulcanica  (Free 1999Crowley 2001), e che si siano verificate anche modificazioni nella circolazioni oceanica con conseguenti effetti sulle temperature dell’Europa (Mann 2002). 

Figure 1:TSI  Irradianza Solare Totale). La TSI dal 1880 al  1978 da  Solanki. TSI dal 1979 al 2009 dal Physikalisch-Meteorologisches Observatorium Davos (PMOD). 

Potremmo andare incontro ad un altro Maunder Minimum? La attività solare attualmente evidenzia una tendenza di lungo periodo verso la diminuzione. L’anno 2009 ha registrato un minimo del secolo. Comunque prevedere il futuro della attività solare è assai problematico, La transizione da un massimo (situazione del XX secolo) ad un minimo  (paragonabile al minimo Maunder) è un processo caotico e difficile da prevedere (Usoskin 2007).


Vediamo per restare in argomento, se per ipotesi il Sole dovesse entrare in un altro Maunder minimo nel XXI secolo, che effetto si produrrebbe sul Clima della Terra? Le simulazioni della risposta climatica con il Sole in un minimo di Maunder danno che la diminuzione di temperatura dovuta al Sole sarebbe minima rispetto a quella dovuta ai gas serra (Feulner 2010). Il raffreddamento conseguente all’ abbassamento della attività solare oscilla tra 0.1 °C e 0.3°C, mentre il riscaldamento dovuto ai gas serra sarebbe tra 3.7°C e 4.5°C (in dipendenza della quantità di CO2 emessa nel corso del XXI secolo (more on this study...). 

 

Figura 2: anomalie della temperatura media globale 1900-2100, relative al periodo 1961-1960 per gli scenari  A1B((linee rosse)  e per A2 (linee magenta) e per 3 differenti forcings solari corrispondenti rispettivamente ad un tipico ciclo undecennale (linea continua), ad un Grand Minimum di Maunder (linea tratteggiata) e ad una irradianza ridotta (linea punteggiata). Le temperature osservate fino al 2009 (colore blu) sono di NASA GISS (Feulner 2010).

Il Clima della Terra ha comunque sperimentato dei cambiamenti molto più accentuati rispetto alla Piccola era Glaciale. Negli ultimi 400 mila anni il pianeta è passato attraverso condizioni glaciali alternate ogni circa 100 mila anni da brevi intermezzi caldi. Questi periodi caldi chiamati interglaciali, hanno avuto durata di circa 10 mila anni. L’attuale periodo interglaciale è cominciato circa 11 mila anni fa. Possiamo essere al limite della nostra era interglaciale?

 

Figura 3: Record di temperatura ricavati a Vostok, Antarctica (Petit 2000). I periodi interglaciali sono segnati in verde.

Come ha inizio una era glaciale? I cambiamenti dell’orbita terrestre causano una diminuzione della quantità di luce solare o(insolazione) che giunge sull’ emisfero settentrionale in estate. I ghiacci si sciolgono in minor misura in estate e gradualmente crescono nel corso di migliaia di anni. Ciò provoca una aumento dell’albedo della Terra che a sua volta amplifica il raffreddamento e la formazione dei ghiacci aumenta. Questo processo dura da 10 mila a 20 mila anni e porta il pianeta verso una era glaciale. 
Quale effetto hanno le nostre emissioni di CO2 su una eventuale futura era glaciale? La questione è stata esaminata in uno studio che esamina l’effetto di innesco della glaciazione cioè la caduta dell’irraggiamento nell’ estate che da inizio alla crescita dei ghiacci  (Archer 2005). Quanta più  CO2 si trova nell’ atmosfera tanto più deve abbassarsi l’irraggiamento per dare inizio alla glaciazione. 
La figure 4 esamina la risposta climatica in relazione ai diversi scenari di emissione di CO2. La linea verde è relativa alla risposta naturale senza emissioni di CO2. La linea blu rappresenta la situazione con 300 Gt di Carbonio (situazione che abbiamo già superato). Una immissione di 1000 Gt (linea arancio) impedirebbe una era glaciale per 130 mila anni. Se l’immissione antropica raggiungesse i 5000 Gt o più la glaciazione verrebbe impedita per almeno mezzo milione di anni. Per come stanno ora le cose la combinazione di un relativamente debole forcing orbitale ed il lungo tempo di permanenza della anidride carbonica in atmosfera è tale che il periodo interglaciale si protrarrebbe in una misura tale che non si è mai verificata negli ultimi 2.6 milioni di anni. 

 

Figura 4. Effetto della CO2 da combustibili fossili sulla futura evoluzione della temperatura media globale. Il verde rappresenta la evoluzione naturale , il blu il risultato della presenza di 300 Gt di Carbonio, arancio di 1000 Gt e rosso di 5000 Gt di Carbonio  (Archer 2005).

Possiamo pertanto star sicuri che non c’è una era glaciale dietro l’angolo. Coloro che si ancorano al dubbio di  una era glaciale imminente, è bene che aprano gli occhi e guardino che cosa sta succedendo alla calotta glaciale artica. Se sta crescendo, OK vuol dire che  il ciclo di 100 mila anni di glaciazione ha avuto inizio. Purtroppo le cose non stanno così, il permafrost artico si sta sciogliendo, il ghiaccio marino dell’Artico pure e la calotta della Groenlandia sta perdendo massa ad un ritmo accelerato. Queste non sono proprio le condizioni tipiche di una imminente era glaciale.

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17 giugno 2019 1 17 /06 /giugno /2019 22:14

Oramai negli ultimi anni abbiamo assistito ad un escalation di dati riguardanti il meteo, di ogni genere, i nomi che vengono associati sono molteplici: passiamo da '' caldo infernale'' a mostri temporaleschi'', a apocalisse di ghiaccio, oltrechè fenomeni distruttivi... ogni giorno cambiamo terminologia, ogni anno abbiamo la preoccupazione di cosa ci aspetterà la settimana prossima, se avremo caldo asfissiante o rinfrescate con rovesci e di nuovo caldo, caldo, freddo, freddo...

Tutto questo ci porta ad essere quasi ansiosi di cosa ci aspetta dietro l' angolo, a leggere di continuo le notizie meteo per poi criticarle dopo pochi giorni proprio perchè variano di continuo.

Colpa dell' inquinamento globale sia oggettivo che invisibile come onde radio, wi fi, e chissà cos altro ancora; una previsione meteo ci lascia stanchi e stufi di vedere ogni volta il cielo e dire...ma non doveva essere nuvoloso oggi ed invece abbiamo un cielo azzurro?

Stress.

Ovviamente io patisco estremamanete il caldo e quindi darò una delucidazione per quanto ne concerne: il caldo causa problemi alla salute nel momento in cui altera il sistema di regolazione della temperatura corporea. Normalmente, il corpo si raffredda sudando, ma in certe condizioni fisiche e ambientali questo non è sufficiente. Se, ad esempio, l’umidità è molto elevata, il sudore non evapora rapidamente e il calore corporeo non viene eliminato efficacemente. La temperatura del corpo, quindi, aumenta rapidamente e può arrivare a danneggiare diversi organi vitali e il cervello stesso. 


Chi è più a rischio?

  • Le persone anziane hanno condizioni fisiche generalmente più compromesse e l’organismo può essere meno efficiente nel compensare lo stress da caldo e rispondere adeguatamente ai cambiamenti di temperatura; tra questi chi soffre di malattie cardiovascolari, di ipertensione, di patologie respiratorie croniche, di insufficienza renale cronica, di malattie neurologiche è a maggior rischio.

  •  

  • Le persone non autosufficienti poiché dipendono dagli altri per regolare l’ambiente in cui si trovano e per l’assunzione di liquidi
  • Le persone che assumono regolarmente farmaci che possono compromettere la termoregolazione fisiologica o aumentare la produzione di calore.
  • I neonati e i bambini piccoli per la ridotta superficie corporea e la mancanza di una completa autosufficienza, possono essere esposti al rischio di un aumento eccessivo della temperatura corporea e ad una disidratazione, con possibili conseguenze dannose sul sistema cardiocircolatorio, respiratorio e neurologico.
  • Chi fa esercizio fisico o svolge un lavoro intenso all’aria aperta può disidratarsi più facilmente degli altri.

I problemi di salute legati al caldo possono presentarsi con sintomi minori, come crampi, lipotimia ed edemi, o di maggiore gravità, come il colpo di calore, la congestione, la disidratazione.

CRAMPI
Sono causati da uno squilibrio elettrolitico oppure da una carenza di sodio, dovuta alla perdita di liquidi, oppure derivano da una insufficienza venosa, spesso associata ad edema alle caviglie. 
Nel primo caso (squilibrio elettrolitico), i crampi si verificano negli anziani che assumono pochi liquidi o in persone che svolgono attività fisica senza reintegrare a sufficienza i liquidi persi con la sudorazione.
Nel secondo caso (carenza di sodio), i crampi compaiono in persone non acclimatate che, pur bevendo a sufficienza, non reintegrano i sali minerali persi. 
In questo caso, le persone possono presentare, oltre ai crampi anche altri sintomi come cefalea, stanchezza e affaticamento, e vanno reidratate con una abbondante assunzione di acqua. 
Nella malattia venosa degli arti inferiori i crampi compaiono spesso durante la notte o dopo una prolungata stazione eretta. In questo caso è consigliabile far assumere al paziente una posizione con gli arti superiori sollevati di almeno 4 cm rispetto al cuore, rinfrescando con acqua fredda gli arti inferiori. 

EDEMA
L’edema è la conseguenza di una vasodilatazione periferica prolungata, che causa un ristagno di sangue nelle estremità inferiori che, con l’aumento della pressione intravasale, provoca un travaso di liquidi nell’interstizio. Un rimedio semplice ed efficace è tenere le gambe sollevate ed eseguire di tanto in tanto dei movimenti dolci per favorire il reflusso venoso, oppure, effettuare delle docce fredde agli arti inferiori, dal basso verso l’alto e dall’interno verso l’esterno sino alla sommità della coscia. Si tratta comunque di un sintomo da non sottovalutare poiché può essere associato a scompenso cardiaco. 

LIPOTIMIA
La lipotimia (svenimento) è caratterizzata da un’improvvisa perdita della coscienza. 
La causa è un calo di pressione arteriosa dovuto al ristagno di sangue nelle zone periferiche con conseguente diminuzione dell’apporto di sangue al cervello. 
Lo svenimento può essere prevenuto se, ai primi sintomi, quali vertigini, sudore freddo, offuscamento visivo o secchezza delle fauci, si fa assumere al paziente una posizione distesa, con le gambe sollevate rispetto al cuore.

STRESS DA CALORE
E' un sintomo di maggiore gravità e si manifesta con un senso di leggero disorientamento, malessere generale, debolezza, nausea, vomito, cefalea, tachicardia ed ipotensione, oliguria, confusione, irritabilità. La temperatura corporea può essere leggermente elevata ed è comune una forte sudorazione. Se non viene diagnosticato e trattato immediatamente, può progredire fino al colpo di calore. 
La diagnosi può essere facilmente confusa con quella di una malattia virale. 
Il trattamento d’urgenza consiste nello spostare la persona in un ambiente fresco e reintegrare i liquidi mediante bevande ricche di sali minerali e zuccheri. Nei casi più gravi, la persona deve essere rinfrescata togliendo gli indumenti, bagnandola con acqua fresca o avvolgendo il corpo in un lenzuolo bagnato.

COLPO DI CALORE
E' la condizione più grave e rappresenta una condizione di emergenza vera e propria. Il ritardato o mancato trattamento può portare anche al decesso. 
Il colpo di calore avviene quando la fisiologica capacità di termoregolazione è compromessa e la temperatura corporea raggiunge valori intorno ai 40°C. Si può presentare con iperventilazione, anidrosi, insufficienza renale, edema polmonare, aritmie cardiache, sino allo shock accompagnato da delirio che può progredire sino alla perdita di coscienza.
Il colpo di calore richiede, specie se colpisce neonati od anziani, l’immediato ricovero in ospedale. In attesa dell’arrivo dell’ambulanza, bisogna spogliare e ventilare il malato, rinfrescarlo bagnandolo con acqua fresca e applicare impacchi di acqua fredda sugli arti.

CONGESTIONE
La congestione è dovuta all'introduzione di bevande ghiacciate in un organismo surriscaldato, durante o subito dopo i pasti.
L'eccessivo afflusso di sangue all’ addome può rallentare o bloccare i processi digestivi. 
I primi sintomi sono costituiti da sudorazione e dolore toracico.

  • Sospendere ogni attività.
  • Far sedere o sdraiare l'infortunato in un luogo caldo e asciutto.
  • Se in poco tempo la congestione non si risolve è necessario consultare un medico.
DISIDRATAZIONE
La disidratazione è una condizione che si instaura quando la quantità di acqua persa dall’organismo è maggiore di quella introdotta.
Normalmente si assumono circa 1,5 litri di acqua al giorno, grazie allo stimolo della sete.
L’organismo si disidrata e incomincia a funzionare male quando:
  • è richiesta una quantità di acqua maggiore come in caso di alte temperature ambientali
  • si perdono molti liquidi, come in caso di febbre, vomito e diarrea
  • una persona non assume volontariamente acqua a sufficienza.
I sintomi principali sono:
  • sete
  • debolezza
  • vertigini
  • palpitazioni
  • ansia
  • pelle e mucose asciutte
  • ipotensione
EFFETTI SULLA PRESSIONE ARTERIOSA
Le persone ipertese e i cardiopatici, soprattutto se anziani, ma anche molte persone sane, possono manifestare episodi di diminuzione della pressione arteriosa, soprattutto nel passare dalla posizione sdraiata alla posizione in piedi (ipotensione ortostatica). 
In questi casi, è consigliabile:
  • evitare il brusco passaggio dalla posizione orizzontale a quella verticale, che potrebbe causare anche perdita di coscienza
  • non alzarsi bruscamente dal letto, soprattutto nelle ore notturne, ma fermarsi in posizioni intermedie (esempio: seduti al bordo del letto per alcuni minuti) prima di alzarsi in piedi.

 

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10 giugno 2019 1 10 /06 /giugno /2019 22:06

Una situazione climatica senza controllo, negli ultimi anni la stiamo vivendo senza nessuna preoccupazione da parte di chi alimenta questo massacro meteo che sembra non avere nessun freno. L anno prima è stato diffuso una bozza del sesto rapporto dell'Ipcc sul clima: “Temperatura media globale a +1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali già nel 2040”.

Se il mondo continuerà ad emettere CO2 ai ritmi attuali, non soltanto non si riusciranno a centrare gli obiettivi fissati dalla comunità internazionale nell’Accordo di Parigi. Ma, già nel 2040, la temperatura media sulla superficie di oceani e terre emerse risulterà di 1,5 gradi centigradi più alta rispetto a quella dell’epoca pre-industriale. L’allarme – l’ennesimo – sul deragliamento del climadella Terra è contenuto in una prima bozza del nuovo rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc).

Secondo una bozza del sesto rapporto dell’Ipcc, i cui contenuti sono stati diffusi dall’agenzia Reuters, gli esperti ritengono che la traiettoria attuale non consentirà di centrare gli obiettivi che la comunità mondiale si è fissata in materia di lotta ai cambiamenti climatici L’Ipcc: “Trend insostenibile, così non si centreranno gli obiettivi dell’Accordo di Parigi”I contenuti del documento, che avrebbe dovuto rimanere segreto, sono stati pubblicati dall’agenzia Reuters.

Se ne evince un quadro tutt’altro che roseo. I governi, infatti, secondo gli esperti dell’Ipcc potrebbero ancora riuscire a rispettare gli impegni assunti nel 2015 al termine della Cop 21, ma a patto di avviare una transizione “rapida e di grande ampiezza dell’intero sistema economico mondiale”. Altrimenti, il mondo è destinato alla catastrofe climatica: una conclusione alla quale gli scienziati sono giunti dopo aver ascoltato il parere di migliaia di esperti e aver consultato una vastissima letteratura.

Oltre al clima, l’altro problema è il consumo di suolo

Certo, l’impressione è che stia aumentando la frequenza degli scrosci temporaleschi intensi, ancora più dannosi in un territorio fortemente cementificato come il nostro. “In effetti non sembrano aumentati i quantitativi medi di pioggia nell’arco di una giornata, quanto piuttosto gli scrosci temporaleschi intensi della durata minore di un’ora”. Che non permettono al terreno di assorbire l’acqua alimentando le falde e anzi risultano molto dannosi. Questo perché “a parità di pioggia, quella caduta oggi fa più danni rispetto a 100 anni fa. Abbiamo trasformato i territori, una volta agricoli, in luoghi carichi di infrastrutture: ciò vuol dire che l’acqua scorre più velocemente e raggiunge più in fretta aree potenzialmente vulnerabili”.

In pochi decenni abbiamo radicalmente modificato il nostro tessuto urbano. Per alcuni l’eccessiva cementificazione potrebbe essere correlata al fenomeno della desertificazione e a quello della “siccità al contrario”, che quest’anno vede gli invasi siciliani pieni di acqua e il Po in secca. Mercalli non è di questo avviso: “La desertificazione che sta interessando alcune zone del Mezzogiorno e delle isole è strettamente legata all’aumento delle temperature e all’eventuale dilatazione del periodo di siccità estiva”.

Quanto al secondo punto, “in effetti la Sicilia quest’anno ha visto tanta acqua come non ne vedeva da tempo; ma per definire un trend ci vogliono decine di anni, potremmo ancora trovarci di fronte a un caso di normale variabilità meteorologica”. Di certo il clima sta cambiando. E per far fronte a una situazione sempre più complessa è necessario ridurre le emissioni di CO2 rispettando l’Accordo di Parigi sul clima, firmato nel 2015: l’unica strada percorribile per evitare l’aumento delle temperature medie di due gradi entro il 2100, che avrebbe effetti devastanti sul nostro ecosistema. Ma si tratta di una sfida che l’Italia non può affrontare senza il sostegno delle grandi potenze mondiali. “Il nostro Paese – sottolinea Mercalli – contribuisce solo per il 2 per cento alle emissioni globali; noi dobbiamo fare la nostra parte, ma molto dipende dalle scelte che faranno Paesi come la Cina o gli Stati Uniti”. Una prospettiva preoccupante perché a causa della sua particolare collocazione geografica nel cuore del Mediterraneo, l’Italia è molto esposta agli effetti dei fenomeni climatici estremi. 

In sostanza “in un futuro non troppo lontano potremo trovarci a contrastare i danni provocati da altri, e c’è un’unica strada da percorrere: investire in infrastrutture che favoriscano l’adattamento al clima che cambia”.

 

Non varrà a sminuire la portata dell’evento la considerazione dell’effetto prodotto dal fenomeno di El Niño (riscaldamento dell’oceano pacifico equatoriale), per altro praticamente esaurito e comunque non superiore ad altri analoghi fenomeni del passato. Né è possibile sottovalutare le conseguenze di una deriva senza precedenti: per esempio, l’estensione del ghiaccio marino nell’artico (polo nord) è ai suoi minimi storici assoluti dal 1980 (anno in cui grazie ai satelliti ne è iniziato il monitoraggio sistematico), mostrando un anticipo dello scioglimento di almeno un mese proprio nel periodo di più rapido ritiro. Gli effetti di quest’ultimo fenomeno potrebbero essere di vasta portata: dal contributo all’ulteriore scioglimento dei ghiacciai terrestri della Groenlandia al conseguente aumento del livello dei mari (già aumentato in media di 12 centimetri), allo sconvolgimento della circolazione atmosferica almeno nell’emisfero nord (freddo e tempeste sull’Europa centro-settentrionale), fino al contributo a un riscaldamento ulteriore grazie al fatto che il mare aperto (scuro) assorbe molto più calore rispetto al ghiaccio (bianco). L’ex capo della divisione climatica della Nasa, James Hansen, vede un futuro ancora più cupo in un recente importante articolo, che coinvolge anche lo scioglimento di parte del ghiaccio terrestre antartico. In termini economici, senza considerare gli impatti sulle popolazioni (e i costi conseguenti), gli asset reali (non finanziari) che potrebbero essere distrutti dal cambiamento climatico nel corso dei prossimi decenni sono stati stimati fino al controvalore stellare di 24mila miliardi di dollari, cioè il 17% del totale.

 

Assumendo che tutto questo sia vero, e un eventuale complotto è da considerare quanto meno molto improbabile, non è possibile evitare di osservare con rabbia le candide passerelle come quella dello scorso mese al palazzo dell’Onu a New York, di cui si è ampiamente riportato su queste colonne, dove a sfilare e pontificare sono stati in massima parte i vincitori del secondo conflitto mondiale e da 70 anni conduttori del mondo, prima in tandem con l’altra faccia – comunista – del capitalismo, quindi da 25 anni in beata solitudine e tuttavia fedeli epigoni di quel mondialismoche è prima causa della drammatica insostenibilità globale. In altre parole, la soluzione del problema dovrebbe essere escogitata dagli stessi soggetti che lo hanno creatomediante l’esportazione forzata delle tecnologie e dei consumi verso aree impreparate ad assorbirli e l’importazione nei paesi sviluppati delle eccedenze umane provenienti da quelle medesime aree, sia l’uno che l’altro processo a danno dei popoli che si erano conquistati in secoli e millenni il diritto a una vita dignitosa.

 

Non potrà stupire allora che le soluzioni immaginate dalle élite finanziarie e dalla propria servitù politica transnazionale prevedano sempre più esplicitamente la compressione dei consumi e la distruzione dei diritti sociali tra i popoli più avanzati, lo sradicamento delle comunità e la creazione di uno sterminato proletariato globale senza volto, senza identità e senza voce. La reazione dei popoli, a tratti e spesso confusamente già timidamente in corso con l’ascesa di Donald Trump negli Stati Uniti, l’inattesa resistenza della Russia di Putin e la crescita dei movimenti identitari in Europa, non potrà allora essere bollata di cinismo ed egoismo, piuttosto alla legittima aspirazione a riappropriarsi del proprio futuro e ricostruire un assetto mondiale e nazionale in equilibrio con le specifiche culture, capacità e competenze, risorse disponibili. I residui strumenti elettorali ancora disponibili sono quello che rimane prima di un’evoluzione molto meno piacevole, in un senso o nell’altro.

 

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4 aprile 2019 4 04 /04 /aprile /2019 22:05

... Evitando la solita menzione che il clima è sempre cambiato, vorrei proporre un filone di articoli dedicati alla ricerca su come cambiare il clima, modificare il tempo atmosferico, ottenere il sole, la pioggia o la neve su ordinazione. …

Taluni scienziati, nel passato, vollero controllare il clima al fine di evitare danni dagli uragani o dalla siccità, in seguito tali tentativi furono abbandonati. (ndr secondo Meloni)

Cercheremo di comprendere come mai e di scoprire dove l’uomo volutamente, anche nei giorni d’oggi, modifica il clima.

Nel febbraio 1948, la rivista americana Fortune, citava il premio Nobel per la Chimica Irving Langmuir in proposito ai progressi raggiunti dalla ricerca che entro uno o due anni successivi, l’uomo avrebbe potuto disporre degli strumenti per annullare la maggior parte dei danni causati dagli uragani.

Quelli del dopo guerra sono anni di notevole entusiasmo per gli americani e inglesi, il settore della ricerca riceveva notevole interesse da parte dei politici, oltre che delle imprese.

In quegli anni, emerge anche un altro scienziato brillante, Schaefer, anche lui chimico. I due avevano condiviso varie ricerche in meteorologia, specialmente per il settore bellico. Il gruppo di ricerca si dedicò parecchio allo studio della condensazione a Schenectady.

In una torrida giornata del luglio 1946, dottor Schaefer (il teorico dei due) era solo in laboratorio e doveva creare una temperatura inferiore ai -23°C ottenuti all’epoca con un congelatore. Pensò di provare con il ghiaccio secco (anidride carbonica solida congelata), ne mise un pezzo nel congelatore.

 

Il vapore acqueo presente nel congelatore utilizzato per gli esperimenti sulla riproduzione in laboratorio della normale condensazione delle nubi, improvvisamente condensò in finissimi milioni di granelli di ghiaccio che divennero finissimi fiocchi di neve.
Lo scienziato aveva riprodotto in laboratorio il primo esperimento per la produzione di nuclei di condensazione.

La fantasia degli scienziati, il segreto delle ricerche, l’assenza di gruppo ecologisti, permisero in tempi brevissimi un esperimento sulle tranquille nubi del cielo americano.

Il 13 novembre 1946, Schaefer noleggiò un piccolo aereo, ad un’altezza di 4500 metri, a circa 50 km a est di Schenectady, trovò una nube stratiforme sovraraffreddata adatta per il suo esperimento, dal finestrino seminò la nube di 3 kg di granellini di ghiaccio secco.

L’esperimento diede luogo ad un improvviso tumulto di correnti della nube, la nube diede luogo ad una precipitazione nevosa che evaporò a circa 600 metri dal suolo. L’esperimento poteva dirsi perfettamente riuscito.

Dopo circa 100 esperimenti di laboratori si era ottenuto il segreto per far piovere o nevicare. In precedenza, in laboratorio, i primi esperimenti avevano portato ad utilizzare, ovviamente senza successo, polvere di zucchero, talco, sale, polvere vulcanica, grafite, carbone, polvere di sapone.

Ma gli esperimenti in natura non si fermarono, se ne realizzarono altri due con esiti simili, mentre un altro fu programmato per il mese di dicembre.

Il 19 dicembre le previsioni meteo davano tempo bello e temperatura in aumento per lo stato di New York e nel Vermont, venne prodotto un esperimento dagli esiti stupefacenti: dopo la semina di nubi, il 20 dicembre, nella regione si ebbe la peggiore nevicata dell’inverno, il traffico automobilistico si bloccò, la gente si trovò impreparata alla tormenta di neve che produsse un accumulo di neve di circa 20 centimetri.

L’esperimento poteva dirsi riuscito, ma l’esito così imprevedibile decise gli avvocati della società finanziatrice di bloccare ogni ulteriore semina di nubi, e le ricerche si riportarono in laboratorio.

Era iniziata l’Era del controllo sul clima, che portò in futuro, anche a esperimenti di maggiore imponenza, ne parleremo nei nostri articoli.

Ma cosa aveva causato una così forte bufera di neve? Come vedremo in futuro, anche esperimenti limitati con ghiaccio secco, possono indurre l’innesco a catena di eventi meteo rilevanti in presenza di instabilità atmosferica. La semina di nubi avevano prodotto le prime nevicate, probabilmente l’evaporazione di parte delle precipitazioni aveva dato innesco alla formazione a catena di nubi e quindi di precipitazioni.

I primi nuclei di condensazione avevano causato una probabile alterazione dell’equilibrio di una stabilità atmosferica apparente, all’epoca non c’erano di certo gli strumenti di rilevamento odierni.  FONTE 

E possiamo registrare un aumento vertiginoso di eventi meteorologi estremi.

Un caso? 

*****

Come ingannare le nuvole e placare l’ira degli uragani: cambiamento indotto del Clima, parte 2°

Dal materiale che ho raccolto su varie pubblicazioni, ho riassunto lo sviluppo di questa serie di articoli dedicata al “controllo del clima”. Dalle mie ricerche sembrerebbe che la Scienza ha realmente le potenzialità per cambiare il clima anche su vasta scala, persino di ridurre le conseguenze dell’Effetto Serra, oppure di raffreddare un Continente, tuttavia ciò non succede e ne vedremo le probabili cause.

Il precedente articolo ha trattato la scoperta del ghiaccio secco quale nucleo di condensazione per le nubi. Abbiamo veduto la sospensione degli esperimenti dopo che un test causò, così pare, una tormenta di neve su un ampio territorio del Nord America, dopo ciò le ricerche e relativi test, furono trasferiti in laboratorio.

Per scoprire le modifiche indotte volutamente per cambiare il percorso naturale degli eventi meteorologici, andiamo ancora al dopoguerra, nel laboratorio USA di Schenectady, tra i ricercatori c’era Bernard Vonnegut, un chimico di 32 anni, studioso delle proprietà dell’alluminio sovraraffreddato.

Vonnegut doveva individuare un composto chimico che avesse gli stessi effetti sulle nubi, del ghiaccio secco, ma che non avesse controindicazioni per il trasporto e che magari fosse anche più efficace. Dopo un’innumerevole quantità di prove individuò un composto che avrebbe potuto sostituire il ghiaccio secco: era lo ioduro d’argento, la cui struttura cristallina esagonale, era quasi uguale a quella del ghiaccio.

La prima partita di ioduro d’argento che fu consegnata al laboratorio era difettosa, il test fallì. Fu chiesto altro ioduro d’argento, stavolta puro. Il test ebbe un successo notevolmente maggiore di quello ottenuto con il ghiaccio secco: era sufficiente una minima quantità del prodotto per produrre neve.

Vonnegut calcolò che solo 90 kg di ioduro d’argento erano sufficienti per seminare l’intera atmosfera terrestre.

Dopo la scoperta delle potenzialità di questa sostanza, il progetto cambiò aspetto e venne allargato, con lo scopo di modificare eventi atmosferici violenti, come gli uragani, ma l’utilizzo di ioduro d’argento al posto del ghiaccio secco non fu immediato.

Fu lanciato il progetto Cirrò, il primo studio scientifico su larga scala della fisica delle nubi e delle modificazioni del tempo atmosferico.

Da quel momento, gli esperimenti di semina delle nubi vennero eseguiti in molte regioni degli Stati Uniti ed alla fine del 1947 erano pronti a trattare il primo uragano con l’intenzione di ridurre l’intensità dei venti.

Il 13 ottobre 1947 ebbe luogo il primo esperimento finalizzato a domare un uragano, era il secondo come intensità che si abbatte sulla zona quell’anno: il primo giorno di missione operativa Cirrò, le nubi di un uragano il cui occhio che si trovata a circa 560 km da Miami furono seminate di ben 80 kg di ghiaccio secco (non ioduro d’argento). I responsabili del progetto Cirrò individuarono una sostanziale attenuazione dell’uragano, con una riduzione della piattaforma nuvolosa.

Purtroppo, il giorno successivo, l’uragano riprese intensità e deviò da ovest verso est, giungendo sulla Georgia dove causò danni ed una vittima.

Il comportamento dell’uragano fu definito insolito, e taluni esperti di meteorologia, attribuirono le sue evoluzioni così imprevedibili alla semina delle nubi.

Il primo esperimento di placare l’intensità di un uragano fu fallimentare, taluni minacciarono cause legali, ma poi la tensione si placò anche perché si dimostrò che nel 1906 un altro uragano manifestò un simile comportamento.

Per 11 anni furono bloccate gli esperimenti, gli esperti erano in disaccordo su vari punti: i modificatori del clima sostenevano che non era possibile deviare un uragano, ma controllare alcuni aspetti come vento e precipitazioni. L’opinione pubblica era terrorizzata sugli effetti dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo.

I successivi esperimenti ricominciarono nel 1956 a mezzo del Weather Bureau che varò un progetto nazionale sugli uragani. Tre anni più tardi partirono le prime semine di uragani con ioduro d’argento, non più ghiaccio secco.

Si apre un periodo di fortissimi esperimenti, molti restarono segreti per parecchio tempo, e non solo per usi civili.

Pubblicato da Andrea Meloni  FONTE

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